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giovedì 8 agosto 2013

Sull'identità

L'identità è un concetto che mi ha sempre interessato.
Non mi è mai capitato come capita ad alcuni attori di avere crisi di identità, anche quando a diciasette/diciotto anni mi vestivo come metà degli adolescenti dell'epoca, con il gel con i chiodi in testa, i jeans alla moda, le scarpe di foot locker eccetera eccetera e parlavo un pò per frasi fatte.
Che io mi ricordi, mai in vita mia mi è capitato di essere scambiato per una persona che non ero io, per lo meno da vicino: mi hanno detto che potevo somigliare a qualcuno, o in via del tutto eccezionale mi è capitato di sentirmi dire che somigliavo a qualcuno.
Non ho mai visto uno che mi assomiglia abbastanza da essere un mio possibile sosia, eppure in qualche parte del mondo, ci sarà. Quando è estate mi hanno detto di essere il tipico Arabo, il tipico Egiziano, Sud Americano, spagnolo, Indiano, e anche Libanese. Quando è inverno sono anche molto bianco e mi hanno detto di poter sembrare anche Francese o Irlandese, e hanno anche visto uno che mia assomigliava tanto in Germania. Quando mi alzo la mattina a volte assomiglio ad un Cinese, e quando avevo la barba lunga effettivamente ho visto in TV l'immagine di un talebano che mi assomigliava parecchio.
Quando uno non ha vere e proprie abitudini fisse è più facile cambiare, ed io ho davvero fatto tante cose diverse in vita mia.
Questa cosa dell'identità però mi ha sempre fatto pensare. Ricordo un episodio significativo, quando a 18 anni ero in vacanza al mare con amici e dopo esserci fumati uno spinello mi ritrovai ad essere sonnambulo. In pratica dormivo su di un letto a castello, e mi sono messo a saltare sul letto toccando il soffitto. Quando un mio amico accese la luce e ci svegliammo tutti, mi chiesero: cosa fai? Prima dicevi sempre Full di Jack, poi continuavi a ripetere che avevi la carta d'identità attaccata al muro. Il sogno era appunto quello, io che giocavo a carte ed avevo in mano un full di jack, poi la mia carta d'identità attaccata nell'angolo tra il muro  ed il soffitto che non voleva staccarsi ed io che cercavo di prenderla perchè non potevo viaggiare senza.
Allora non è tanto la preoccupazione di non sapere più chi uno è, ma la preoccupazione che la propria identità non venga più riconosciuta e quindi di non avere più diritti, che forse mi opprimeva in quell'incubo.
Che poi al giorno d'oggi è un tema che molti affronteranno, anche perchè con gli ultimi ritrovati, sarà poi facile creare dei sosia. Anche i nomi poi, prima o poi si ripetono. Io ad esempio che non un cognome così comune, ho trovato qualche mio omonimo su internet: uno che ha un pub in Lazio, un filosofo, uno che vende roba on-line e vende profumi, fino uno in nuova Zelanda che è il doppio di me e sembra un Rapper e si chiama proprio come me.
Allora poi ci si rende conto che l'importanza dell'identità potrebbe anche essere considerata meno di quella che ci si può immaginare. Conta  il nome che ci si fa nel ambito delle proprie conoscenze, conta l'idea che si fanno le persone di noi, e l'idea che uno ha di se e della propria coscienza. Ma per i grandi statisti, per le analisi su larga scala, si dice che tutti sono utili mentre nessuno è indispensabile.
Magari la vera nostra identità è composta da una somma di scelte, le scelte che fecero i nostri genitori prima di noi assieme alle nostre, che vanno poi a confrontarsi con gli altri e l'ambiente, laddove ci sia effettivamente una minima possibilità di scelta.
Siamo uomini, prodotti del creato che vanno ad evolversi in conseguenza a decisioni (tagli) e adesioni (incollature), dove a volte è meglio staccarsi e volare da soli ed altre volte è meglio unirsi sostenendosi a vicenda a seconda dei propri principi.
Chissà forse tanti poeti e scienziati del passato hanno considerato questi problemi. Del resto qualcuno può essere convinto che sia il numero a spaventare, ma magari c'era più pericolo di perdere l'identità in tanti posti dell'antichità dove non vi era cultura, dove non si sapeva di chi si era figli, chissà.
Forse quegli scienziati come Fuller che scrivevano ogni giorno ciò che accadeva loro, un pò come un diario,  capivano questa necessità di spiegare chi erano oltre a cosa accadeva loro. Di spiegare e spiegarsi la propria identità. Tante volte non si capisce chi era una persona del passato, non si vuole credere che fosse chi diceva di essere, magari perchè effettivamente qualche millantatore è esistito. E così, Gesù Cristo molti dicono che non sia esistito, Socrate dicono non sia esistito, quello che ci ha lasciato Confucio non è chiaro chi lo abbia scritto, così come Omero, Pitagora  e tanti altri.
Chissà, tanti magari non sono interessati in questi concetti, rinunciano alla propria identità, per soffrire di meno, per potere fare più cose. C'è chi lo fa perchè sottostà a degli ordini disumani e protocolli, chi lo fa perchè segue delle religioni o abbraccia delle teorie scientifiche in toto.
A volte vi è un meccanismo subdolo, che sarebbe quello di annullare l'identità per non essere superbi.  Allora qua il confine è labile, perchè può capitare, specialmente nella cultura occidentale di essere superbi. Quando però ti senti fare dei discorsi Cristiani (sia cattolici sia protestanti) di un certo tipo come quelli sui "peccati collettivi" capisci che c'è qualcosa che non torna, perchè questo è il problema, non si guardano nè i peccati di una Cultura in generale, come considerava Daniel De Foe, nè i peccati di una Chiesa nel suo insieme, ma si guardano i peccati di ognuno singolarmente. Allora un conto è dire di essere umili, un conto è annullare la propria coscienza e ridurla a zero per supportare un presunto bene comune. La rinuncia dell'Io dicono alcuni.
Ma se pecore vi piace essere, fate pure, io passo.
E comunque non c'entra solo il Cristianesimo, tanti grandi pensatori dell'antichità avevano regole che potevano valere per tanti, ma si rivolgevano alle persone singolarmente.
Ma se vi piace galleggiare in quel dolce stato di irresponsabilità per il quale basta solo guardare avanti e conformarsi agli altri, allora andate pure dritto.


Come diceva la mia maestra delle elementari: ma se tutti si buttano dentro al pozzo, ti ci butti anche tu?
Pensate bene prima di capire cosa può significare questa frase.




domenica 4 agosto 2013

Dello spirito e della materia

Se ho ben capito, ad oggi è possibile entrare dentro ad i corpi degli altri mediante la tecnologia. Questo lo dico perchè a dispetto di un fisico non particolarmente prestante credo di aver sempre avuto una propriocezione maggiore rispetto alla media, nel senso che se ad uno capita di essere meditativo od introverso, capita anche di percepire meglio il suo corpo in maniera distinta dall'ambiente.  Qua si potrebbe aprire un capitolo lunghissimo sulla percezione del sè che spesso si va a fissare in particolari zone del corpo, e questo credo sia quello che gli orientali chiamano i Chakra, ma non avendo studiato quei concetti potrei sbagliarmi.
Comunque io credo che vi sia già la tecnologia per fare funzionare gli esseri umani come delle telecamere. Non so se questo richieda qualche trattamento in precedenza, o se sia possibile operarlo su tutti gli uomini in quanto tali, ma credo che ciò sia possibile. In altre parole ci si sintonizza con il cervello del soggetto e si traducono le immagini acquisite dalla retina elaborandole ed inviandole sotto-forma di segnali.
Quindi mentre uno sta guardando qualche cosa, ci si collega alla sua testa e si può guardare ciò che sta guardando, senza bisogno di occhiali o telecamere. Credo sia capitato anche a me, ma non ne sono sicuro al 100%, ciò però che posso intuire è che vi è una significativa probabilità che ciò sia possibile.
E' naturale che un discorso del genere possa spaventare molto e che quindi sia inaccettabile pensarlo, ma date le ultime notizie che sono state pubblicate sulla tecnologia, riguardanti l'attuale livello di elaborazione e scambio di dati tramite onde, credo di poter scrivere queste cose per lo meno senza passare per completamente matto. In realtà però questi concetti li penso già da qualche anno.
Immagino che per operare in questo verso oltre ad una tecnologia elaborata, gli scienziati che si occupano di questi fatti abbiano formato una teoria sull'uomo e sulla vita molto strutturata in maniera da consentire loro di operare in serenità. I corollari possono essere di diverso tipo, senza dimenticarsi che a tutt'oggi vi sono menti geniali che sono orientate verso il pieno relativismo che nemmeno si preoccupa di concetti quali la tutela della vita umana.
Detto questo, immagino anche che se ciò può valere per gli stimoli visivi, possa anche valere per altri stimoli cosiccome penso possa anche portare a delle azioni, in altre parole oltre a vedere con gli occhi di un altro si possono fare anche altre azioni, quali sentire o portarlo a compiere movimenti.
Ciò che in passato era considerata magia, come i riti Vodoo, ciò che in passato era considerata una possessione da parte di altre entità, è diventato ad oggi scientifico. Ci ho messo un pò a metabolizzare questo concetto, poi mi sono ricordato leggendo l'Odissea di quando la Dea Atena occhio azzurro entra dentro al figlio di Ulisse per aiutarlo, e leggendo quel passaggio mi è sembrata un concetto non poi tanto strano.
Ora, in altre parole la scienza è arrivata a fare ciò che faceva la magia, ciò che facevano i demoni e gli angeli o Dei di un tempo, è arrivata a possedere gli uomini.
Io credo che effettivamente mediante anche l'uso di materiali complementari ci sia chi nella sua filosofia di vita vorrebbe trasformare l'intero pianeta in una grande matrice dove attraverso l'apoteosi di algoritmi matematici, ed a seguito di ciò tutte le volontà si vedrebbero fuse in un continuum di onde elettromagnetiche ordinate appunto a seconda di questi algoritmi che terrebbero in considerazione i migliori stili di vita possibili per questa rete vitale che rappresenterebbero gli abitanti, uomini ed animali, del pianeta. Vi sono però volontà che risulterebbero molto più forti di questo algoritmo, spiriti che vivono nel presente o che possono ritornare dal passato, con i quali la matematica non può nemmeno osare confrontarsi, così come non dovrebbe osare confrontarsi con Dio, ma servirlo.
Perchè la matematica ragiona con la materia e non con lo spirito. Per la materia uno più uno fa due, ma per lo spirito uno più uno può fare sempre uno.